






Fino alla fine degli anni ’20 del Novecento, si pensava che quegli oggetti lontani e indistinti che si vedevano nei telscopi fossero nebulae, oggetti nebulari appartenenti alla nostra galassia; si pensava, quindi, che la Via Lattea costituisse l’intero universo. Questo fino a che, nel 1929, Edwin Hubble si rese conto che quelle nebulose non appartenevano alla Via Lattea, ma si trattava di altre galassie. Oltre a portare alla nascita di nuovi modelli circa la struttura e le dimensioni dell’universo, questa scoperta portò alla necessità di studiare questi oggetti. Una delle prime cose da fare era classificarli. La prima suddivisione fu fatta nel modo più semplice possibile: in base alla forma. Si distinse così tra galassie a spirale e galassie ellittiche.
Le galassie ellittiche sono indicate con la lettera E seguita da un numero che va da 0 a 7 a seconda dell’eccentricità della galassia: per esempio una galassia E0 è praticamente tonda mentre una galassia E7 è molto allungata, a forma di sigaro.
Le galassie a spirale sono indicate con la lettera S seguita da una seconda lettera a, b, c, che varia a seconda di quanto sono avvolti i suoi bracci: per esempio in una galassia di tipo Sa i bracci sono molto stretti, mentre in una galassia di tipo Sc la forma sarà di una spirale allargata.
In alcune galassie a spirale la forma si complica per la presenza di una struttura lineare che attraversa la regione centrale, la cosiddetta “barra”: in tal caso si parla di galassie a spirale barrata, contraddistinte dalle lettere maiuscole SB, seguite sempre dalle altre lettere a, b o c.
Esistono poi le galassie di tipo S0, una sorta di “via di mezzo” tra le ellittiche e le spirali, e galassie che non sono riconducibili ad alcuna forma, e sono perciò dette irregolari.
Le galassie evolvono da una forma all’altra? Hubble pensava di sì, ma non riuscì mai a trovare le prove che lo confermassero. Oggi sappiamo che le galassie possono variare la loro forma quando entrano in contatto tra loro. La collisione fa entrare in gioco l’attrazione gravitazionale reciproca, che provoca la fuoriuscita di lunghi filamenti di gas e stelle da entrambe le galassie. Altre volte l’attraversamento di una galassia in un’altra, può causare l’espulsione di dense nubi di stelle e anelli gassosi, generando un caos che può portare alla formazione di nuove stelle ancora più luminose. Le collisioni tra galassie si chiamano merging. La Via Lattea e la galassia di Andromeda si stanno avvicinando, e tra qualche milione di anni collideranno.
Sui dettagli della formazione delle galassie, tuttavia, si sa ancora poco. Una galassia può contenere miliardi di stelle: generalmente, nelle galassie ellittiche troviamo vecchie stelle rosse che causano un rigonfiamento ellissoidale nella struttura della galassia stessa, mentre in quelle a spirale sono presenti stelle giovani di colore blu alimentate dall’enorme quantità d’idrogeno che si trova nei bracci della spirale.
GLI AMMASSI GALATTICI
Le galassie si possono raggruppare in ammassi. In un ammasso possono concentrarsi migliaia di galassie, separate da grandi quantità di gas e da materia oscura.
Il primo astronomo a osservare e catalogare nebulose e ammassi fu il francese Charles Messier che, nel 1774, descrisse 45 degli oggetti più appariscenti; circa sette anni dopo l’elenco ne conteneva un centinaio. In questo elenco si associa agli oggetti catalogati un codice composto dalla lettera M (in onore di Messier) con il relativo numero di catalogazione, ad esempio la galassia di Andromeda è nota come M31.
Intorno al 1880 fu introdotto da Johan Dreyer il Nuovo Catalogo Generale, comprendente quasi 800.000 oggetti, molti dei quali osservati dal famoso astronomo William Herschel. Nel 1905 questo catalogo fu ulteriormente ampliato di due liste supplementari (Index Catalogues) con oltre 5.000 oggetti. A seconda del catalogo di appartenenza gli oggetti vengono tutt’ora chiamati con le sigle NGC e IC (Andromeda, M31, è anche associata al codice NGC 224).
Gli ammassi di galassie abbondano di gas che arrivano a temperature di milioni di gradi. Queste temperature fanno brillare così tanto il gas da fargli emettere raggi X, rilevabili dagli strumenti satellitari. Trattandosi dei più grandi agglomerati gravitazionali esistenti, per gli astronomi sono luoghi pieni di fascino. Se fosse possibile pesare tutti gli ammassi avremmo un valore approssimativo della massa totale dell’Universo e se riuscissimo a seguirne l’evoluzione nel tempo potremmo, perché no, capire come si è sviluppata la struttura dell’Universo dal Big Bang in avanti.






