Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

Conoscere le onde elettromagnetiche è importante quando si parla di spettroscopia. Estrarre gli spettri significa infatti andare a estrarre la componente ondulatoria della materia. Infatti, la fisica quantistica ci regala il dualismo onda-corpuscolo: significa che quegli oggetti che normalmente consideriamo particelle possono comportarsi, in determinate condizioni, come se fossero onde elettromagnetiche, e, viceversa, le onde elettromagnetiche possono avere, in certi casi, il comportamento tipico delle particelle. Le “particelle” delle onde elettromagnetiche si chiamano fotoni, dal greco fos, fotos che significa luce. Quando si fa osservazione al telescopio, i fotoni “impattano” sui rilevatori, che funzionano “contando” i fotoni caduti sui singoli pixel del rilevatore: in questo modo, i fotoni vengono considerati come particelle. Quando invece si fa spettroscopia, si utilizza la natura ondulatoria della radiazione che arriva allo strumento: ed ecco che entrano in gioco le onde elettromagnetiche.

CARATTERISTICHE DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE

Tutti i giorni abbiamo a che fare con un’onda elettromagnetica. La luce stessa è infatti un’onda elettromagnetica, proprio come può esserlo un’onda radio o un raggio X.

Cosa contiene la carta d’identità di un’onda elettromagnetica?

Beh, cominciamo dalla “foto”: se volessimo disegnarla, basterebbe tracciare una linea che fa su e giù con regolarità, come quando si disegnano le onde del mare. I punti più alti si chiamano picchi, o creste, mentre il punto più basso si chiama ventre dell’onda.

ondeelmag_schema

Ora, se la luce che “conosciamo” noi, quella a cui i nostri occhi sono sensibili e che perciò viene chiamata luce visibile, le onde radio, i raggi X, sono tutte onde elettromagnetiche, cosa cambia dall’una all’altra? Perché le onde radio non ci fanno una lastra? Perché i nostri occhi non colgono i raggi X? Cosa le differenzia?

A rendere diverse tra di loro le onde elettromagnetiche sono 3 proprietà, tre grandezze, che però sono strettamente correlate tra loro.

La prima, quella fondamentale, è la lunghezza d’onda. Si indica con la lettera greca λ (lambda) e rappresenta la distanza tra due picchi consecutivi (o tra due ventri consecutivi). Si va da onde così lunghe da avere λ espressa in metri a onde così corte da dover usare un’unità di misura “apposita”, l’Angstrom (simbolo Å): 1 Å corrisponde a 10-8 cm, cioè a 0,00000001 cm (immaginate di dividere un cm in 100 milioni di parti: una sola di queste è lunga 1 Å). Tra questi due estremi ci sono onde di varie λ: si possono misurare in cm, in mm, in μm (micrometri; 1 μm corrisponde a un millesimo di mm), in nanometri nm (corrispondono a un milionesimo di mm: 1 mm diviso in un milione di parti).

La seconda proprietà è la frequenza. Dobbiamo immaginare di posizionarci in un punto e di guardare l’onda elettromagnetica che scorre davanti a noi alla velocità della luce (tutte le onde elettromagnetiche viaggiano alla velocità della luce, dalle onde radio ai raggi X). Mentre guardiamo correre l’onda, contiamo quanti picchi passano davanti a noi in un secondo. Questo numero è la frequenza. In che modo è legata alla lunghezza d’onda? Beh, è facilmente intuibile: più grande è la lunghezza d’onda, minore è la frequenza. Infatti, in un secondo passeranno svariati picchi di un’onda con λ di pochi nm; mentre ne passeranno molti meno se la λ è di qualche cm.

Solamente per semplificare, consideriamo che la velocità a cui si muove l’onda sia di 1000 m/s (non è affatto così! È solo per dare un numero comodo da utilizzare). Se abbiamo un’onda con λ= 1m, davanti a noi in un secondo passano 1000 picchi. Se, invece, abbiamo un’onda con λ= 1mm, davanti a noi, in un secondo, passano un milione di picchi. Un’onda con lunghezza d’onda 1000 volte più corta ha però una frequenza 1000 volte più alta. La frequenza si indica con la lettera greca ν (ni o nu). Si vede allora che le due grandezze λ e ν sono legate in modo tale che il loro prodotto rimanga costante: e non un valore qualsiasi, ma il valore della velocità della luce nel vuoto, indicato con c = 300000 km/s.

Si ha che λν= c. Questo per qualsiasi onda elettromagnetica. L’unità di misura della frequenza è l’Hertz, simbolo Hz. Spesso si usano i suoi multipli: il MHz, che compare anche nelle frequenze della radio che ascoltiamo, e che corrisponde a un milione di Hertz, e il GHz, frequente nella radioastronomia, corrispondente a un miliardo di Hertz (un miliardo di picchi in un secondo).

Manca la terza grandezza: l’energia. L’energia è legata alla frequenza in questo modo: E = hν. Quello indicato con la lettera h è semplicemente un numero fisso, una costante chiamata costante di Planck, che viene dalla fisica quantistica. È un numero positivo, e questo significa che più è alta la frequenza ν, più è energetica l’onda.

Si può dire quindi che: più un’onda è corta, più è energetica (perché più l’onda è corta, più è alta la sua frequenza).

È la diversa energia a portare i fotoni delle onde elettromagnetiche a interagire in modo diverso con le particelle.

LO SPETTRO ELETTROMAGNETICO

Ecco dunque che le onde elettromagnetiche vengono divise in gruppi, detti bande, all’interno dello spettro elettromagnetico:

ondeelmag_spettro

Le onde radio sono quelle con lunghezza d’onda maggiore, quindi quelle di più bassa frequenza e di minore energia (attenzione: si parla di bassa frequenza, ma abbiamo detto prima che in radioastronomia si lavora con i GHz. Significa che le altre onde hanno frequenze ancora più alte!).

Con lunghezza d’onda leggermente più corta troviamo le microonde, proprio quelle utilizzate per cuocere dai forni a microonde.

A lunghezza d’onda ancora un po’ più corta troviamo la banda dell’infrarosso. La radiazione infrarossa è ovunque, negli strumenti per la visione notturna, nelle fotocellule dei cancelli e delle porte automatiche, nel telecomando del televisore.

Se rimpiccioliamo ancora la lunghezza d’onda, eccoci al colore rosso. La luce visibile è una sottilissima parte dello spettro elettromagnetico compresa tra il colore rosso (λ = 800 nm) e il colore blu (λ = 400 nm). Il Sole emette radiazioni in ogni lunghezza d’onda, ma il suo massimo è proprio in questa regione: per questo ci siamo evoluti sviluppando cellule oculari capaci di ricevere queste radiazioni. Con lunghezze d’onda un po’ più corte del blu finiamo nella regione dell’ultravioletto. Conosciamo bene la radiazione UV, purtroppo. È quella che rompe le scatole in estate e non ci lascia abbronzare in pace, costringendoci a ricorrere alle creme solari. Siamo in lunghezze d’onda già molto più corte del radio, e le energie cominciano a salire: per questo cominciano a essere pericolose.

Ancora più energetica la radiazione in banda X: le sue onde hanno λ cortissima, e quindi un’energia incredibilmente alta. È la radiazione più energetica, insieme ai raggi gamma (γ).

Vediamo ora come si comporta la nostra atmosfera nelle diverse bande.

ondeelmag_atm

Questa figura illustra proprio la risposta dell’atmosfera alle radiazioni di diversa λ. Vediamo che per quel che riguarda raggi X e raggi γ, la risposta è una protezione totale. L’atmosfera terrestre non lascia passare queste radiazioni. Quindi, per studiare quegli oggetti del cielo che emettono in X, bisogna lanciare dei telescopi (costruiti in modo appropriato per ricevere fotoni così energetici) nello spazio. Anche l’UV è quasi completamente bloccato, dico quasi perché ci stiamo avvicinando al blu e al visibile, e qualcosa infatti passa (come ho detto prima, i raggi UV rompono le scatole d’estate). L’atmosfera è invece praticamente trasparente alla luce visibile (e meno male…), mentre fa passare l’infrarosso “un po’ sì e un po’ no”. I telescopi in luce visibile sono costruiti tranquillamente sulla Terra (anche se quelli lanciati nello spazio funzionano ovviamente meglio, perché non c’è il vento a muovere l’atmosfera e a far vibrare le immagini), mentre quelli a infrarosso vengono lanciati nello spazio. Infine, la banda radio (che in figura incorpora quella delle microonde) è divisa in due: fino a una certa λ, l’atmosfera è trasparente al radio, e riceviamo quindi i segnali delle radiosorgenti dello spazio, anche da Terra. Da una certa λ in su (intendendo con “in su” λ più lunghe), l’atmosfera diventa completamente opaca. Il segnale radio che parte da Terra rimbalza indietro, ed ecco la finestra utilizzata per le comunicazioni radio terrestri. Sono le in assoluto più lunghe, e guarda caso quelle con le frequenze più corte (ecco perché la radioastronomia ha ancora i GHz mentre le nostre radio usano i MHz).

Per sapere quali oggetti emettono radiazioni nelle varie bande e perché, consultate il prossimo articolo: “Meccanismi di emissione”.

Claudia Ferrari

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail